Alessandro Bozzi (UPPA, numero di gennaio-febbraio 2010)
Non tutti i bambini sviluppano il loro linguaggio con gli stessi tempi, soprattutto quello che cambia è la capacità di espressione: lo sviluppo linguistico segue infatti varie fasi che vedono un ampliamento graduale e sequenziale nel tempo. Si va dallo sviluppo delle competenze pre-linguistiche, sotto l’anno di età, allo sviluppo dell’espressione dei suoni, delle parole e delle frasi. Abbastanza frequentemente possiamo trovarci davanti a due bambini della stessa età con capacità espressive differenti; questo però non significa che il bambino con minor bagaglio linguistico abbia un disturbo del linguaggio, almeno fino ad una certa età. A due anni generalmente il bambino comincia ad associare due parole insieme ed utilizza un numero di parole mediamente superiore alle 50 (tra 50 e 200). La sua capacità di comprendere il linguaggio è da subito superiore a quella di pronunciare le parole.
Nella fascia di età che va dai 24 ai 30 mesi si possono comunque riscontrare distorsioni nello sviluppo del linguaggio con una frequenza che va dal 10 al 20% della popolazione generale: questi bambini vengono definiti bambini con ritardo del linguaggio o late talkers (parlatori tardivi). In questi casi si osserva un lessico inferiore alle 50 parole e una capacità combinatoria, ovvero di associare due parole. ridotta o assente. I parametri che stabiliscono questo ritardo sono variabili, questi bambini hanno uno sviluppo più rallentato e tardivo rispetto allo sviluppo “tipico”: iniziano a parlare più tardi, cioè dopo i 18 mesi, hanno generalmente difficoltà nella pronuncia delle parole per ridotta capacità di combinazione e sviluppo dei suoni, il numero di parole che sanno pronunciare è inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare da un bambino di pari età e la costruzione delle frase è assente o molto semplificata. Generalmente una notevole percentuale dei ritardi di linguaggio si recupera spontaneamente, ma è meglio comunque sorvegliare questi bambini, per verificare nel tempo che le competenze linguistiche procedano regolarmente; resta comunque un certo numero di bambini che può invece strutturare un disturbo specifico di linguaggio. Più o meno il 50% dei “parlatori tardivi” a 24 mesi colma il suo ritardo al compimento dei 3 anni: queste modificazioni sono dimostrate da una rapida crescita del vocabolario espressivo e dalla capacità di costruzione di frasi a più elementi, quindi più ricche ed elaborate. Perciò alla fine soltanto il 3-6% dei “parlatori tardivi” struttura un vero disturbo del linguaggio.
I punti importanti da considerare sono:
Questi sono gli elementi che condizionano la prognosi del ritardo, se dopo i 36 mesi questi parametri non si sono modificati ed evoluti, allora il rischio di strutturare un disturbo del linguaggio aumenta con forte probabilità ed è utile intraprendere un percorso riabilitativo individuale o di gruppo: il lavoro deve essere fatto su tutte le competenze di sviluppo del bambino, in quanto il linguaggio è comunque una funzione interconnessa con tutte le altre.
Perciò quelli che chiamiamo “disturbi specifici del linguaggio” sono diagnosticabili intorno ai 3 anni se il linguaggio è ancora molto immaturo in una o più componenti (fonologica, lessicale, sintattica, semantica, di comprensione verbale). Si tratta soprattutto di bambini maschi, che hanno familiari che hanno avuto a loro volta un disturbo del linguaggio. I disturbi del linguaggio “espressivi” sono i più frequenti (circa il 40% dei casi) e riguardano tutte le componenti espressive, la comprensione verbale di norma è normale o lievemente ritardata; si presentano soprattutto all’età della scuola materna e generalmente guariscono in prima o seconda elementare. Se a quell’età invece il disturbo non è ancora risolto, le probabilità di sviluppare un disturbo di apprendimento nella lettura sono più alte. Nei disturbi “misti” del linguaggio si ha anche un ritardo nella comprensione verbale il quadro appare più serio e più impegnativo, perché la comprensione verbale è una competenza importante che consente al bambino di pensare prima di pronunciare le parole, è anche uno strumento di raccordo tra le funzioni della conoscenza e quelle dell’espressione verbale e consente un controllo e ricontrollo sul pensiero e sulla parola. Ai disturbi del linguaggio si possono associare difficoltà di “organizzazione prassica”, ovvero della capacità di utilizzare il movimento fine per ottenere uno scopo (per esempio abbottonare i vestiti, vestirsi correttamente, fare un nodo) o anche condizioni di impaccio nel movimento. Perché si possa dire che un bambino ha un ritardo o un disturbo del linguaggio, bisogna che non abbia contemporaneamente un ritardo “cognitivo”, o “relazionale” o semplicemente “sensoriale” (dell’udito soprattutto) e che non sia vissuto in un ambiente carente da un punto di vista sociale o ambientale: perciò possiamo dire che un bambino con un ritardo o un disturbo del linguaggio è sempre un bambino intelligente.
La diagnosi spetta ad un’équipe di neuropsichiatria (neuropsichiatra infantile, psicologo, terapista della riabilitazione o logopedista) che valuta il bambino osservando tutte le aree di sviluppo. Sono necessari sempre un esame preliminare dell’udito, per escludere che si tratti di un bambino che parla poco o male perché sente poco o sente male; spesso occorre anche escludere la presenza contemporanea di altri disturbi che possono avere conseguenze sullo sviluppo del linguaggio. Se un genitore dovesse sospettare un disturbo del linguaggio, dovrebbe prima di tutto parlarne con il suo pediatra. I pediatri, per conto loro, hanno ben presenti le tappe dello sviluppo linguistico dei bambini e di solito, nel corso dei bilanci di salute, chiedono ai genitori notizie in proposito. In caso di allarme il pediatra chiederà una visita specialistica: è importante non sottovalutare il problema, non per allarmismo, ma perché una diagnosi precoce fa la differenza nella risoluzione del disturbo o del ritardo. Un genitore può fare molto per aiutare il proprio bambino: giocare insieme e parlargli, per esempio, per dargli un modello verbale e ludico positivo; generalmente infatti in questi bambini si riscontrano difficoltà nel gioco simbolico (il “far finta” o il riuscire ad astrarre o trasformare l’uso degli oggetti). Mentre si gioca si adottano spontaneamente parole, gesti e azioni che insieme rinforzano a aiutano l’apprendimento del linguaggio; questa funzione aumenta le capacità simboliche del bambino oltre che rinforzare la relazione di attaccamento. Ci sono anche cose che però il genitore non dovrebbe fare: far ripetere nel giusto modo le parole che il bambino dice in modo errato. Non si deve insistere o costringer un bambino a dire una parola per ottenere qualcosa, questo atteggiamento è spesso molto controproducente e frustrante, sia per il bambino che per i genitori, che rischiano di constatare una maggiore chiusura comunicativa del figlio. Meglio restituire al bambino la parola corretta: il genitore può ripetere nel giusto modo la parola che il bambino ha pronunciato erroneamente, eventualmente enfatizzando le espressioni mimiche e gestuali. Un’altra funzione importante svolta dai genitori è quella di condividere la letture di libri, che però è meglio che non siano troppo stimolanti: le immagini migliori sono quelle semplici e non troppo abbondanti all’interno della pagina, in modo che il bambino possa mantenere un’attenzione selettiva migliore e più duratura. Su questo il progetto Nati per leggere ha molto da dire.
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